Le "buone maniere"

LIMITI QUOTIDIANI         Terza parte


La separazione

Uno dei momenti in cui è indispensabile dire no a un bambino è quello della separazione. Vostro figlio vorrebbe stare con voi, ma deve stare con altri. Uno dei problemi più frequenti lamentati dai genitori è che il loro bambino non accetta facilmente la separazione, si aggrappa e piange. La loro preoccupazione n

on è solo che non stia bene con gli altri, ma anche che, se non gestiscono bene la separazione, il rapporto ne risenta e diventi meno piacevole stare insieme. Il bambino si aggrappa a voi, mentre voi cercate di respingerlo. Anche qui dobbiamo analizzare che significato ha per ciascuno questo comportamento. La separazione è sempre un processo a due sensi.

Una delle prime separazioni significative per i bambini piccoli ha luogo quando vengono lasciati con la nonna, con la baby-sitter, con la tata, all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia. Quando si visita un asilo nido c’è sempre almeno un genitore che, benché apparentemente intento ad allontanare il figlio, è in realtà molto preoccupato di lasciarlo. Quando il bambino, anche se forse un po’ riluttante, ha già salutato e se ne sta andando, sarà magari il genitore a salutare di nuovo, facendo capire che una volta non bastava e che la situazione è penosa anche per lui. E’ molto probabile che, alla fine della scena, il bambino sia in lacrime, perché avrà colto e amplificato i sentimenti del genitore. (…)

Il modo in cui il bambino vive la separazione dipende da come gli viene presentato il tempo che trascorrerà lontano dai genitori. La madre si fida della persona a cui lascia il figlio? Ha un buon ricordo dei periodi che lei stessa trascorreva fuori casa? Pensa di lasciare il figlio per il suo bene o per una propria esigenza, per esempio, il lavoro? Tutti questi fattori influenzeranno il modo in cui prende commiato da lui. Un commiato tranquillo e fiducioso crea nel bimbo la prospettiva che trascorrerà delle ore piacevoli.

Spesso ci si chiede se sia meglio salutare o sparire senza che il bimbo se ne accorga. Molti adulti sembrano convinti che i bambini piccoli non si rendano conto di ciò che li circonda (…). Niente è più lontano dal vero. E’ vero piuttosto che, se vengono informati di una partenza imminente, i bambini hanno la possibilità di obiettare e di fare i capricci. I genitori devono capire e accettare questi sentimenti, senza rinunciare ai loro programmi.

Può creare disagio anche la situazione opposta, quella cioè in cui il bambino è contento che la mamma se ne vada. Questo può far soffrire una mamma che ama il figlio e sa che le mancherà.

Che fare con un bambino che strilla, vi si aggrappa e sembra non possa sopportare di essere abbandonato? Come negli esempi riportati sopra, dovete chiedervi se questi sentimenti riflettono la situazione reale, Se andate via malgrado le sue protese e lo fate in modo positivo, fiduciose che vostro figlio sia in buone mani, rafforzate l’idea che starà bene senza di voi, che esistono altre persone al mondo in grado di prendersi cura di lui. Se non ve ne andate, ammettete di fatto che solo voi potete occuparvi di lui e che il mondo non è un posto sicuro. Naturalmente la separazione va preparata con intelligenza. Bisogna valutare anche quanto tempo vostro figlio riesce a stare senza di voi. Dovrà magari essere un processo graduale, ma deve essere avviato perché il bambino possa gustare altre gioie oltre a quelle che voi gli offrite.    


Il sonno

(…) Oggi molti genitori acquistano un letto più grande per far posto ai bambini che si infilano accanto a loro di notte. E’ un problema dei nostri tempi. Non esiste una valutazione unanime dei pro e dei contro di questa abitudine. (…). Perché abbiamo difficoltà a dimostrarci fermi quando si tratta di mandare a letto i figli e a dir loro di no quando vogliono venire nel lettone? Che cosa interferisce con le nostre decisioni? Come sempre , la risposta non è semplice. Le interferenze possono essere molteplici. (…)

Il sonno suscita spesso un senso di perdita che, nella sua forma più estrema, diventa paura della morte. (…). Quando ci si abbandona al sonno si entra in un tempo o in uno spazio su cui non si ha molto controllo. E’ una condizione di isolamento. Per alcuni rappresenta un porto tranquillo, intimo, pieno di sogni piacevoli. Per altri è un mondo tempestoso, popolato da incubi. Per i più è un misto delle due cose. Ma non sappiamo in anticipo come sarà il nostro sonno. Il linguaggio quotidiano lo presenta come un viaggio: ci auguriamo la buonanotte, dei sogni piacevoli, diciamo “Ci vediamo domattina”, tutte frasi tipiche della partenza e del ritorno.

L’atteggiamento dei genitori influenza le aspettative del bambino nella zona di penombra fra la veglia e il sonno. Il genitore che lascia una luce accesa nel caso che il figlio abbia paura del buio, dà già l’idea che l’oscurità sia fonte di angoscia piuttosto che di riposo. Lo stesso vale per altre scelte: porte aperte o chiuse, silenzio o rumore. (…) Se pensate che un letto vuoto sia un piacere, è più probabile che vi dimostriate decisi nel sostenere che vostro figlio deve dormire da solo. Se invece vi sembra un posto solitario, immaginerete che sia questo il motivo per cui vuole stare con voi e lo lascerete entrare nel vostro letto. In realtà può avere motivi del tutto diversi per venire nel vostro letto o per non voler dormire. Invece di dare per scontato che sia come voi, dovete imparare ad ascoltarlo.

Possono esistere molti altri motivi per cui i genitori permettono ai figli di stare alzati fino a tardi o di dormire nel lettone. Una madre o un padre che sono via tutto il giorno per lavoro approfittano della sera, che è l’unico momento in cui possono stare con il loro bambino. Tenerselo stretto di notte dà loro un senso di intimità, li fa sentire in contatto con lui. Una notte passata insieme di tanto in tanto può essere molto soddisfacente per tutti. E’ importante tuttavia sapere di chi sono le preoccupazioni e i bisogni che vengono soddisfatti. Una madre single con cui ho lavorato prendeva spesso la figlia nel letto perché era lei ad aver paura di notte. Pur sapendo che una bambina di due anni non poteva certo proteggerla, si sentiva più al sicuro con lei accanto.

Altri motivi possono essere legati a problemi coniugali. Un bambino nel letto, in apparenza perché ambedue i genitori possano occuparsi di lui e dei suoi bisogni, può celare il desiderio dei coniugi di prendere le distanze l’uno dall’altro. In una coppia non felice, la presenza di un bambino nel mezzo può aiutare i genitori a sfuggire al senso di solitudine, e nel contempo fungere da barriera fra loro.

Ma una situazione del genere non aiuta il bambino. Sentirà che i genitori hanno bisogno di lui e avrà difficoltà a proteggere il proprio spazio. Alcuni bambini si preoccuperanno dell’ostilità fra i genitori e vorranno essere presenti per accertarsi che non accada niente di male. Gli stessi genitori potrebbero essergli grati perché fornisce loro una rete di sicurezza. Altri bambini, percependo il dissenso, vorranno riempire il vuoto stando vicini a un genitore e respingendo l’altro. Se vi ritrovate ad avere sempre vostro figlio nel letto, sarà opportuno considerare tutti questi problemi, ed altri ancora.  

Non è positivo per un bambino avere il permesso di trascorrere, ogni notte, la notte intera con voi. Gli impedisce di diventare autonomo. Un bambino che di notte ha paura e viene preso regolarmente nel lettone non elabora delle strategie per cavarsela da solo, e di conseguenza è sempre vulnerabile. Una notte dopo l’altra avrà paura, chiamerà la mamma, e non imparerà a ricorrere ad altri sistemi, per esempio nascondere la testa sotto le coperte, cantare fra sé e sé una canzone o ascoltare una cassetta. Se è convinto che ci siano coccodrilli sotto il letto o folletti maligni nell’armadio e voi lo portate via regolarmente dalla sua stanza, anche se a parole ne negate l’esistenza, con le azioni suggerite che sia meglio stare alla larga da quel luogo. Non ha fatto l’esperienza di restarci e di scoprire che nella sua camera da letto non ci sono belve feroci. Se invece è costretto a escogitare dei metodi per far fronte alla paura, con il tempo e con l’aiuto di varie strategie finirà per sconfiggerla, acquisendo così maggiore forza e fiducia in se stesso e nella sua capacità di reagire. (…)

Con esperienze come quelle della paura, per un bambino piccolo tutte le rassicurazioni e tutti i discorsi del mondo non saranno convincenti quanto il fatto di provarla, sopravvivere all’emozione e superarla.

Magari un bambino si ricorda della paura solo al momento di andare a letto, ma un genitore può pensarci durante il giorno, scegliendo il momento opportuno per parlarne al figlio e per studiare insieme a lui dei modi di affrontarla prima che si trasformi in panico. Quando arriva il momento, genitore e figlio avranno probabilmente avuto delle idee, avranno trovato dei piani e delle strategie a cui il bambino può ricorrere. Si possono escogitare moltissime soluzioni, fra cui quella di portare con sé un giocattolo speciale, nascondersi sotto le coperte, ascoltare un po’ di musica o una storia, lasciare una lucina accesa e via dicendo.


Il cibo

In molte famiglie il momento della pappa si trasforma in una battaglia vera e propria su cosa e come si deve mangiare. Le madri sono particolarmente sensibili alle reazioni del figlio al cibo che gli offrono, perché spesso vivono il rifiuto del cibo come un rifiuto della loro stessa persona. A volte al momento del pasto entrano in gioco tali e tante emozioni da far passare l’appetito a un bambino, che può trovare poco digeribile non tanto il cibo, quanto l’atmosfera. Tutti abbiamo provato, in situazioni di tensione, una sensazione di nodo allo stomaco. I bambini piccoli, soprattutto prima di avere un sicuro controllo del linguaggio, sono molto sensibili al clima emotivo. Un bambino può rifiutare la crema di pollo perché semplicemente non gli piace, ma se il suo rifiuto viene preso come una manifestazione di odio nei confronti della mamma, troverà difficile mangiare qualsiasi cosa. (…)

D’altra parte, però, se un bambino si rifiuta di provare qualsiasi cosa nuova o si comporta come se tutto il cibo fosse cattivo può avere bisogno di una madre capace di interpretare per lui questa sua riluttanza. Come abbiamo visto, le nostre reazioni aiutano il bambino a farsi un’idea del mondo, che lo circonda. Una madre che consente al figlio di essere molto schizzinoso dimostra di pensare, come lui, che le cose buone da mangiare sono veramente poche. Una madre che non riesce a dire no al figlio che le chiede ogni giorno lo stesso piatto, o che gli permette di rifiutare la maggior parte dei cibi, può finire per lascarsi tiranneggiare dal figlio, accettando che le dia degli ordini. Se comincia a cambiare modo di cucinare e a soddisfare tutti i capricci del figlio, se si preoccupa troppo di quello che gli va o non gli va di mangiare, diventa insicura, e questo rende il bambino ancora più sospettoso riguardo a ciò che gli viene offerto. A volte le mamme si sentono in colpa perché il figlio non ha una dieta sana. Il cibo diventa fonte di dispiacere, ed è un vero peccato. Per risolvere il problema, pur rispettando i gusti del bambino, la madre potrebbe stabilire come regola, per esempio, che deve almeno assaggiare le cose nuove, oppure che può scegliere di non mangiare un numero limitato di cibi. Potrebbe magari raggiungere un compromesso che esclude dal menù spinaci, fagioli e cavolfiori, includendo però altre verdure. Queste regole rispettano i gusti del bambino, ma permettono anche alla madre di riaffermare la sua idea che nella vita esistono molte cose deliziose. Come abbiamo visto è importante che la madre sia fiduciosa e convinta di offrirgli delle cose buone; sarà questa l’immagine che presenterà al figlio, che il più delle volte apprezzerà i pasti.  


L’attesa

I bambini piccoli vivono intensamente nel qui ed ora. Hanno un senso del tempo molto soggettivo. Aspettare costa loro fatica; vogliono gratificazioni istantanee, che in parte sono di natura fisica. Un bambino affamato diventa capriccioso, nervoso e fastidioso. La trasformazione che avviene dopo il pasto ha qualcosa di miracoloso: Il bambino diventa allegro e simpatico. Anche un bambino che cova una malattia può avere all’inizio un comportamento irritabile. Solo quando la malattia si manifesta capiamo a cosa era dovuto il malumore. (…)

Quando un bambino non ottiene quello che vuole, ha la sensazione che aspettare gli faccia male. E’ in parte una sensazione realistica, basata sulla sua esperienza, ma deve anche imparare che ogni tanto aspettare non guasta, che sopravviverà alla prova e ai sentimenti suscitati in lui dall’attesa. A volte la reazione del bambino è tale che la madre, temendo che non possa tollerare l’attesa, interrompe qualunque cosa stia facendo per precipitarsi da lui. (…) Se l’esperienza dell’attesa si ripete più volte e ha una durata tollerabile, il bambino si abitua e acquisisce fiducia nella propria capacità di cavarsela da solo.

Se una madre si considera crudele perché fa aspettare il figlio, è possibile che abbia una fortissima identificazione in lui e assecondi in realtà il proprio lato infantile. Se voi trovate molto penosa l’attesa, difficilmente riuscirete a trasmettere a vostro figlio un’immagine diversa. La vostra difficoltà e la sua si sommano. Come abbiamo visto in altre occasioni, è importante districare i sentimenti e capire di chi sono quelli predominanti.

Un altro ostacolo è il senso di colpa. E’ capitato a molte madri di sgridare severamente il figlio e di sentirsi in colpa perché il giorno dopo gli scoppia un terribile raffreddore. Nella peggiore delle ipotesi abbiamo l’impressione che sia stata la sgridata a farlo ammalare. Si ha quasi la sensazione che dire no, fissare dei limiti sia pericoloso. Abbiamo visto, invece, che è proprio l’opposto, che è dannoso non farlo. Il bambino che non sa aspettare è alla mercé delle sue emozioni, che sono molto intense, e può sentirsi profondamente infelice. Dargli un limite può aiutarlo ad arginare questi sentimenti, a tenerli entro dei confini. Altrimenti si può sentire pieno di una furia selvaggia che non viene mai domata, proprio come abbiamo visto nel caso dei bambini che si comportano come se fossero onnipotenti.


Il comportamento distruttivo

In qualsiasi circostanza, è importante che un bambino impari a non fare del male agli altri e, se lo fa, a riparare il danno fatto. Se gli viene permesso di comportarsi in modo distruttivo, il bambino alla fine è spaventato, sia per quello che ha fatto sia per quello che voi potreste fare a lui. (…)

I bambini che hanno il vizio di rompere le cose e di fare a pezzi ciò che causa loro frustrazione, all’inizio possono sentirsi in colpa, e alla lunga disperare che qualcosa di buono possa sopravvivere. Finiscono per avere la sensazione che il mondo sia rotto e non ci sia speranza di ripararlo. E’ un sollievo quando qualcuno vi impedisce di fare del male agli altri; significa che sarebbe pronto a proteggere anche voi. Quando un bambino è travolto da un impeto d’ira, sente di non riuscire a controllarsi. Anche qui, il fatto di essere bloccato con fermezza viene interpretato come un segno che ci si preoccupa per lui e che, per il suo bene, si è pronti ad affrontare la sua collera. (…)


Le buone maniere

Uno dei nuovi compiti che devono affrontare i bambini di età compresa fra i due e i cinque anni è quello di imparare l’arte di stare in compagnia. Fino ad una certa età non ci si aspetta niente da loro a questo riguardo, ma dai due anni in poi devono cominciare a cimentarsi anche con questi problemi. (…)

Anche in questo caso il nostro compito è quello di aiutare il bambino a rispettare le regole, senza però schiacciare il suo senso di sé. Dobbiamo sempre cercare un equilibrio fra ciò che riteniamo giusto e ciò che lui è in grado di fare. E’ essenziale che i bambini imparino a comportarsi bene in compagnia, per il semplice motivo che se non lo fanno nessuno vorrà stare con loro.

Può darsi che consideriamo l’infanzia un meraviglioso periodo di libertà e siamo restii a imporre dei limiti. Oppure, se pensiamo che i bambini non siano altro che dei piccoli adulti, saremo esasperati quando non si comportano come tali e li obbligheremo ad adeguarsi. La nostra concezione dei privilegi dell’infanzia e degli obblighi derivanti dal fatto di far parte della società avrà molta influenza sul modo in cui imponiamo certi limiti. Entrerà in gioco anche la lotta che noi stessi conduciamo per conservare un’individualità, pur facendo parte di un gruppo.

E’ importante perciò rispettare lo stile personale del bambino, che sta emergendo, dandogli però, nel contempo, gli strumenti per cavarsela bene nella vita. In genere la coerenza, la costanza e la ripetizione funzionano meglio dell’imposizione.

E’ importante anche che, come genitori, diamo valore al fatto di essere trattati bene. Una madre che permette al figlio di essere sgarbato e poco rispettoso nei suoi confronti gli comunica che è questo il modo giusto di trattarla. Accetta un suo aspetto violento e maleducato che, come abbiamo visto, non è salutare per lui. Gli fornisce inoltre un modello di comportamento: quando qualcuno gli farà uno sgarbo, non sarà capace di farsi valere. Per le madri che non hanno una forte autostima o che basano l’immagine di sé sulla totale disponibilità sarà più difficile comportarsi con fermezza. Dobbiamo ricordare che i nostri figli sono influenzati non solo da come ci comportiamo con loro, ma anche da come consentiamo loro di comportarsi con noi. Le buone maniere e le convenzioni sociali non sono solo un fatto superficiale; in origine, e fondamentalmente, riguardano i rapporti con gli altri. Diventare grandi comporta delle limitazioni alla propria libertà.



Tratto da:

Asha Phillips - I no che aiutano a crescere